Circolo Mario Mieli: quando l’inclusività è una sfida da vincere. Anche grazie alle tecnologie digitali
Abbiamo intervistato Mario Colamarino, Presidente del Circolo Mario Mieli di Roma, associazione che da più di 40 anni fa dell'accoglienza e dell'assistenza per le persone LGBTQIA+ una missione quotidiana.
Tutto nasce a Roma più di 40 anni fa, esattamente il 12 marzo del 1983, data che segna la scomparsa di Mario Mieli, intellettuale anticonformista, una figura di spicco nel campo degli studi di genere e grande animatore della discussione sui ruoli e le identità che compongono la società moderna. A lui è intitolato il Circolo di Cultura Omosessuale che in quel periodo si stava costituendo dall’unione del Collettivo Narciso e del FUORI, di cui lo stesso Mieli fu promotore. Oggi l’associazione fa dell’accoglienza e dell’assistenza per le persone LGBTQIA+ una missione quotidiana, all’insegna di progetti e iniziative. Si va dagli eventi di strada, come la celebre parata del Roma Pride, che nel 2024 compirà 30 anni, ai servizi del consultorio passando per la formazione. Ho avuto il piacere di parlare del valore della diversità con Mario Colamarino, Presidente del Circolo Mario Mieli.
Facciamo un passo lungo 40 anni: dalla nascita dell’associazione alle sue finalità attuali.
Siamo una delle più importanti Associazioni LGBTQIA+ italiane e sin dalla fondazione ci occupiamo della difesa e delle promozione dei diritti umani e civili della comunità gay. I primi volontari del Circolo affrontarono la crisi dell’AIDS e furono i primi tester per le cure avviate dall’ospedale Spallanzani di Roma. Oggi operiamo su più fronti e affrontiamo tematiche come la salute e i migranti attraverso collaborazioni con entità pubbliche e private di diversa natura, mettendo a disposizione delle persone servizi sociali di assistenza di vario genere. Intorno al Circolo gravitano in modo continuativo circa 250 persone, fra addetti e collaboratori.
In azienda si parla sempre più di “Diversity & Inclusion”, voi collaborate con molte organizzazioni, a che punto siamo in Italia?
Il fenomeno si è sviluppato più tardi rispetto ad altri Paesi e di fatto ha preso piede solo negli ultimi dieci anni, trovando terreno fertile in aziende multinazionali che già ne avevamo recepito i principi. Oggi c’è maggiore sensibilità al tema anche in Italia, sia in termini di sponsorizzazione diretta sia sottoforma di condivisione del progetto. L’interesse per fortuna è in forte crescita. È un fatto di cultura e di valori aziendali. Ci vuole tempo.
Un gruppo di partecipanti al Roma Pride 2023
Parliamo di discriminazione: quanto è sottovalutato questo problema e chi, dentro un’organizzazione, dovrebbe occuparsene attivamente?
Nonostante lo sforzo profuso per avere maggiori tutele sulla parità di genere e per i soggetti di diverso orientamento sessuale, la discriminazione è ancora presente, si manifesta con il mobbing e a volte anche in forma sottile nella componente economica. Se c’è la volontà, è comunque un problema superabile, e lo dimostrano in casi in cui, anche senza il supporto di una legge, in azienda sono stati portati avanti progetti che hanno coinvolto famiglie arcobaleno. Il PNRR, inoltre, offre tante opportunità per sviluppare questo tema in ambito pubblico. A chi spetta il compito di seguire questa problematica? Spesso il tema è gestito a livello di Risorse Umane, ma in organizzazioni più grandi cominciano ad affermarsi figure dedicate con professionalità specifiche sul tema. L’obiettivo comune è però sempre lo stesso: garantire serenità e felicità alle persone sul posto di lavoro.
Le aziende sono pronte ad accogliere persone transgender? Ci scatta una fotografia della situazione in Italia rispetto ad altri Paesi europei?
C’è ancora tanto da fare. Per una persona transgender trovare occupazione è ancora più difficile rispetto a un uomo o a una donna omosessuale, ed è un caso molto italiano: rispetto all’Europa siamo molto indietro per quanto riguarda l’accettazione della comunità trans e non abbiamo leggi dedicate al tema. C’è, inoltre, una colpevole disattenzione sul fatto che moltissimi giovanissimi italiani hanno intrapreso il percorso di cambiamento del proprio sesso senza avere il necessario supporto. Le persone transgender, nella maggior parte dei casi, non hanno gli strumenti per affermarsi in fase di colloquio di lavoro, e non è un caso, infatti, che sia la comunità più colpita dalla disoccupazione, anche per le difficoltà di ordine economico per l’accesso allo studio che vi sono a monte.
Per questo motivo siamo molto felici di aver intrapreso un percorso con Salesforce proprio sul tema della formazione. Stiamo lanciando un corso online gratuito “Talent Alliance Career Cohorts for Transgender Talents”, rivolto alle persone transgender e non binarie interessate alla sfera informatico-ingegneristica che stanno cercando lavoro o vogliono acquisire nuove competenze in questo campo.
L’intelligenza artificiale è il tema del momento: può essere un’opportunità per ovviare ai limiti dei “bias” nel processo di recruiting e selezione di un candidato?
Sull’AI si sta sviluppando un ampio dibattito che interessa le comunità marginalizzate: può essere uno strumento molto utile in determinati contesti, anche nel processo di recruiting, ma nasconde come tutti sappiamo anche delle insidie. Il rischio di un uso distorto dell’intelligenza artificiale per fare campagne di propaganda contro la nostra comunità, per esempio è molto concreto, è quanto mai reale. E ci preoccupa. Il ricorso alle capacità degli algoritmi è plausibile ma deve essere a 360 gradi e rispetto a parametri che vanno oltre le doti professionali dell’individuo e abbracciano anche quelle personali. La componente umana rimane in ogni caso centrale e fondamentale, e spero che non possa mai essere sostituita del tutto dall’intelligenza della macchina.
Il digitale può essere una leva di inclusione?
Lo è già. E andrebbe messa a sistema. La collaborazione virtuosa che abbiamo portato avanti con Salesforce è un perfetto esempio di come la tecnologia possa mettere a disposizione di tutti servizi e strumenti di condivisione e conoscenza, oltre naturalmente a percorsi formativi dedicati. Come noto, la piattaforma Salesforce è alla base del funzionamento del centro che affronta i casi di discriminazione e violenza e dei processi digitali dell’intera infrastruttura. È in esercizio da oltre un anno e mezzo e traccia tutta l’attività di supporto condotta dal Circolo, organizzando in modo strutturato i profili degli utenti – sono circa 600 le posizioni finora gestite – e i servizi offerti ed erogati.
Un’ultima domanda prima di salutarla: il Circolo Mario Mieli può essere considerato un “trailblazer”, un apripista?
Direi proprio di sì. Lo siamo perché siamo partiti da noi stessi e dai nostri bisogni e perché il Circolo è fortemente aderente al territorio rispetto a tematiche come lavoro, salute e casa, che erano stelle polari per la comunità negli anni ’80 e lo sono tutt’ora. Siamo stati quindi i primi a fare trial contro il virus HIV per contribuire alla ricerca scientifica e i primi ad organizzare le serate gay per autofinanziarci. Il primo Pride del 1994, che radunò circa 10mila persone, è stato un punto di svolta per l’intero movimento gay italiano. E siamo in continuo rinnovamento.