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Sostenibilità, nuove tecnologie e creatività umana: personalizzare e raccontare il lusso secondo Roberto Cavalli

Roberto Cavalli è una vera icona del Made In Italy nel Fashion Luxury. È stato un vero piacere chiacchierare con il CEO Sergio Azzolari di nuove abitudini di consumo, di branding digitale, di innovazione e di sostenibilità, e di quali sono le doti da ricercare nei giovani talenti.

Roberto Cavalli, recentemente scomparso a 83 anni, impersona uno dei volti più noti della moda italiana. Stilista sui generis, grande amante dell’arte e fondatore dell’omonima casa di moda fiorentina, è stato un vero pioniere degli anni ’70, quando decise di brevettare un procedimento di stampa su pelle e cominciò a creare patchwork di materiali e colori, attirando l’attenzione di grandi firme come Hermès e Pierre Cardin. La sua griffe e gli altri marchi della maison hanno fatto capolino sulle principali passerelle europee e nelle insegne delle boutique e dei flagship store aperti in circa quaranta Paesi del mondo. Oggi il timone della società, acquista nel 2019 da Hussain Sajwani (facoltoso uomo d’affari di Dubai), è in mano a Sergio Azzolari, che ricopre il ruolo di CEO di Roberto Cavalli dalla primavera scorsa. Con lui abbiamo chiacchierato di nuovi abitudini di consumo, di branding digitale, di innovazione e di sostenibilità, e di quali sono le doti da ricercare nei giovani talenti. 

Come sta cambiando il consumatore in ambito luxury? È più o meno attento alle modalità di relazione multicanale?

La figura del consumatore ha ampliato i propri confini, estendendosi a molti più profili e determinando un’ulteriore segmentazione di questa categoria di clientela. Nella posizione più elevata possiamo identificare chi è maggiormente orientato all’esperienza vissuta in fase di acquisto che non all’acquisto vero e proprio; abbiamo poi il consumatore “entry level” in cerca dell’affare per appagamento personale, di norma più attento all’uso degli strumenti digitali perché rincorre online l’occasione giusta. C’è infine il cliente alto spendente, ed è il profilo a cui si fa riferimento, che ricorre in modo consolidato all’omnicanalità. Rispetto al passato c’è maggiore complessità. Il cliente top spending va coccolato e assistito. La vera sfida è personalizzare la relazione: il modello “e-mail blast” non è più praticabile, serve creare un messaggio ad hoc, contestualizzato e qui sta la fatica.

Si può fare branding senza il supporto del digitale? 

Teoricamente si ma è estremamente difficile, il vecchio passaparola oggi è molto poco efficiente. In Roberto Cavalli facciamo branding puntando sul concetto di pervasività del digitale, perché non avendo grandi economie di scala dobbiamo renderci visibili tramite canali facilmente accessibili dal grande pubblico. Prestiamo quindi massima attenzione all’engagement, sfruttando l’audience costruita sui social e un ampio ventaglio di contenuti di qualità per alimentare il drive-to-store. Un brand del lusso deve essere raccontato partendo dall’alto, dalla sua capacità di creare un sogno e un aspettativa. Il prodotto viene dopo.

Si dice che l’innovazione debba andare di passo con la sostenibilità: ma come?

Dovremmo innanzitutto capire e definire cosa sia per il mondo fashion la sostenibilità: ci si chiede quindi dove un capo viene prodotto, come viene trasportato, in quanti passaggi e così via. Credo che la sostenibilità di un prodotto debba passare per la sua qualità, espressa dal rapporto “costo per utilizzo”. Qual è il ciclo di vita di una borsa di un brand “fast fashion” e quello di un accessorio realizzato con materiali di pregio e di conseguenza destinato a durare di più? Il lusso ha per l’appunto questa prerogativa, quello di durare nel tempo, di non essere un bene usa e getta. E questo può essere inteso come un comportamento sostenibile, che nasce a livello di design. 

Uno dei capi presentati durante il Fall Winter 2024-25 Fashion Show di Roberto Cavalli
Uno dei capi presentati durante il Fall Winter 2024-25 Fashion Show di Roberto Cavalli

Domanda impegnativa: come si valorizza e si protegge il Made In Italy? Il PNRR può essere una leva per sostenerlo?

Potenzialmente sì, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza può assolvere a questa funzione. Ma proteggere il Made in Italy è un obiettivo percorribile in mancanza di maestranze qualificate e specializzate? Sono convinto che non si possa e non si debba ragionare a silos: e invece abbiamo distinto troppo e separato con inutili barriere un settore dall’altro. Non si può parlare di “Made in Italy” senza fare un ragionamento di insieme che comprenda filiere, comparti economici, realtà produttive: vanno uniti i puntini, sviluppate competenze, insegnati i mestieri valorizzandoli sul territorio. 

Si parla tanto di intelligenza artificiale e meno di metaverso e realtà virtuale: sono solo una moda o una reale opportunità di crescita?

Il metaverso, al momento, è considerato un strumento troppo gaming e non è escluso che sia una bolla di innovazione scoppiata troppo presto. L’AI, invece, è una “buzzword”, che presenta dei rischi ma anche moltissimi benefici, per esempio quello di poter contribuire a velocizzare alcuni processi, come la gestione degli inventari di magazzino, dotando gli operatori di intelligenza aggiuntiva. In ambito creativo, ad esempio, stiamo digitalizzando un archivio di 17mila capi e potremmo pensare di farli indossare da un avatar digitale, realizzando qualcosa di impossibile nel mondo fisico. Oppure rivisitare un abito del 1972 e attualizzarlo al giorno d’oggi. A svolgere il lavoro creativo è sempre e comunque la persona, dobbiamo evitare di affidarci troppo, ed esclusivamente, alle capacità dell’intelligenza artificiale. Il rischio è l’omologazione.

Parliamo di competenze: nel mondo fashion è più ricercata una figura con skill trasversali o un talento con competenze specialistiche? 

La componente più premiante di un talento è la sua curiosità, e di norma questa caratteristica non è data da una forma mentis o da un percorso di studio, ma dalla sua personale capacità di fare domande e di descriversi.  L’omologazione, come dicevo poc’anzi, è nemica della creatività, e quindi si tende a cercare persone con competenze ed expertise, aperte ed empatiche, attratti dalle nuove tecnologie e in grado di usarle. La trasversalità vince con la specializzazione e si va a premiare la duttilità extra curricolare. 

Ultima domanda: Roberto Cavalli si considera un’azienda “trailblazer”, un pioniere nel proprio settore? Perché?

Roberto Cavalli è stato un “trailblazer”, perché 50 anni fa ha sparigliato le regole del gioco: una figura anti convenzionale, un genio eclettico che è uscito dai dettami dell’epoca. Continuiamo a voler essere fuori dal coro, convinti che non si possa accodarsi alla moda del momento e a un’idea di “quite luxury” di circostanza che punta sull’eleganza sobria e sussurrata. Noi vogliamo essere fedeli alla nostra linea, coerenti con il nostro essere, modernizzandoci ed evolvendoci. Ma rimanendo dei cavalli pazzi.

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