La trasformazione digitale della PA fra Intelligenza Artificiale, facilità d’uso e competenze: la ricetta di ARIA
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Lorenzo Gubian, Direttore Generale di ARIA Spa, l'organismo di Regione Lombardia la cui missione è generare valore tra la domanda della Pubblica Amministrazione, l’offerta del mercato e le esigenze di cittadini e imprese.
È nata in tempi recenti, nel 2019, dalla fusione di quattro società di Regione Lombardia a totale partecipazione pubblica (Lombardia Informatica, Infrastrutture Lombarde, Arca Lombardia ed Explora) ma la sua storia ha radici più profonde. Era il 1981, infatti, quando veniva istituita la digital company incaricata di fare da volano all’innovazione tecnologica del Sistema Regionale Lombardo. Oggi Aria Spa è un organismo che fa leva su sinergie in materia tecnologica, infrastrutturale e di conoscenza del territorio derivanti da tutte le sue componenti e ha una missione ben definita: generare valore tra la domanda della Pubblica Amministrazione, l’offerta del mercato e le esigenze di cittadini e imprese. È stato un vero piacere discutere con Lorenzo Gubian, Direttore Generale di ARIA, di trasformazione digitale a tutto tondo, dal gap che deve recuperare l’Italia all’impatto del PNRR fino al ruolo chiave delle competenze.
L’Italia è 18esima fra i 27 Paesi membri della UE nell’indice DESI 2023. Ai servizi pubblici digitali ricorre solo il 40% degli utenti, rispetto alla media UE del 65%. Perché siamo ancora così indietro?
A determinare questo indice che ancora ci penalizza contribuiscono diversi fattori. In primis pesa un difetto culturale di fondo sul digitale: molti degli investimenti sono infatti rivolti all’implementazione delle soluzioni tecnologiche e molto meno alla formazione delle persone. L’altra metà del problema riguarda invece l’usabilità dei servizi digitali e il coinvolgimento dei cittadini, due parametri che vanno necessariamente e costantemente migliorati. Si tratta di un processo lungo, ma gli investimenti di natura culturale vanno considerati come strategici e non tattici.
Cosa serve fare per colmare il gap?
Investire su piattaforme che facilitano l’attività di apprendimento e aggiornamento, con una visione strategica. E nel contempo modernizzare le interfacce delle applicazioni per favorire la partecipazione dei cittadini-utenti, che richiede a sua volta tempo e risorse. Per questo serve dare priorità ai progetti di maggior valore.
Ma a che punto siamo con la trasformazione digitale nella PA? E perché il PNRR è un passaggio chiave?
Partiamo da una buona notizia: per la prima volta abbiamo registrato un livello degli investimenti sulla formazione degli operatori superiore a quella destinata ai sistemi, e il progetto relativo al fascicolo sanitario elettronico 2.0, ne è un esempio. Si tratta di un punto di svolta importante e molto positivo, in quanto rappresenta un cambio di visione forte in termini di change management. A che punto siamo nel processo di trasformazione? Siamo a mio avviso a metà del guado, anche in relazione all’applicazione del PNRR: questo e il prossimo saranno due anni decisivi per mettere a terra questa incredibile opportunità, anche dal punto di vista dei fondi da spendere.
La trasformazione digitale e la sostenibilità viaggiano veramente di pari passo: come combinate queste due componenti in ARIA?
L’attenzione alla sostenibilità è pienamente nelle nostre logiche di procurement, rappresenta un punto fermo. Il cloud è un punto di riferimento sia a livello di infrastruttura che di applicazioni. Siamo molto impegnati a tenere sotto controllo le modalità con le quali le applicazioni sono scritte e di conseguenza come queste impattano in termini di consumi quando “girano” in ambienti cloud. La nostra visione combina la sostenibilità by design per le nuove applicazioni e l’ottimizzazione delle risorse esistenti.
Che ruolo gioca, oggi, per una società pubblica, un provider tecnologico?
L’approccio che una società come la nostra è chiamata a seguire è quello di promuovere il cambiamento culturale e di gestire l’impatto sui processi. Per scaricare a terra su larga scala questo approccio e perseguire l’obiettivo di migliorare costantemente l’esperienza utente servono degli strumenti adeguati. Le piattaforme software sono questi strumenti, sono il touch point dell’utente e permettono alla PA di interagire con i cittadini attraverso una relazione che non deve essere passiva, ma che invece preveda un onboarding semplificato e un’accurata profilazione dell’utente finale.
Come si fa un buon “customer service” in una PA?
Se abituo l’utente a navigare all’interno del mio portale o del mio canale di contatto con passaggi chiari e veloci, con un’usabilità che si avvicina all’approccio “one click”, è segno che il sistema è efficace e mi permette di arrivare all’obiettivo in tempi rapidi e in modo accessibile. La vera sfida per i servizi digitali erogati da un ente pubblico è quella di fondere in modo eccellente l’erogazione del servizio e il supporto all’assistenza grazie alle tecnologie innovative.
La rivoluzione AI: dove si applica e come si governa?
Provo a rispondere con un esempio. Per diversi servizi di Regione Lombardia gestiamo oltre 200 bandi che distribuiscono fondi a cittadini e imprese e in questo ambito la sfida da vincere è quella di automatizzare il più possibile il sistema: grazie all’intelligenza artificiale generativa andiamo a incidere in modo positivo sulle risorse umane, riducendo i tempi di risposta e rendendo più efficiente il processo. L’assistente virtuale, in altre parole, risponde in completa autonomia all’80% dei quesiti e diventa un plus e un aiuto pertinente per l’operatore per gestire le tematiche più complesse e per comprendere più velocemente le richieste di cittadini e imprese, suggerendo la risposta migliore, creando testi e report, analizzando dati in modo predittivo e prescrittivo. L’AI, inoltre, non è solo una risorsa per migliorare il front end, ma anche per un impiego a supporto delle attività di back office.
Si parlava prima di formazione: perché mancano le competenze digitali e perché invece sono fondamentali?
Quando cerchiamo di promuovere la formazione specialistica verso i nostri addetti, la resistenza che troviamo è spesso legata all’impegno operativo quotidiano, che assorbe tutte le energie e gli spazi temporali della persona, ma formandosi e acquisendo maggiori competenze si può lavorare meglio e in modo più produttivo. L’accesso semplificato alla formazione non è però stato finora un obiettivo prioritario della PA e va stimolato, anche tramite incentivi nel caso, e andrebbe visto e considerato come una grande opportunità anche per accrescere il proprio valore professionale. Trovare sul mercato le risorse qualificate non è assolutamente semplice ed è un problema trasversale a tutti i settori.
Un’ultima domanda: cosa significa per ARIA essere un trailblazer, un apripista?
È una domanda che presuppone una risposta impegnativa. Un apripista, per definizione, non può rimanere indietro e nel nostro caso significa dover adottare velocemente le nuove tecnologie, capire su quali processi vanno ad impattare e formare velocemente le persone. Tutto questo richiede visione e coraggio di sperimentare. In tema di intelligenza artificiale e di dati sintetici, per esempio, ci stiamo muovendo con tutti i dubbi del caso e con la consapevolezza di operare “border line”. In generale serve bilanciare rischi e opportunità e serve conoscere perfettamente il quadro normativo, le tecnologie e i contesti organizzativi in cui ci si muove. La ricetta per continuare a stare davanti credo sia una: provare e sbagliare, facendo propria la cultura dell’errore.