Carlo Robiglio (Gruppo Ebano): competenze, formazione e strumenti innovativi, ecco la ricetta per affrontare il cambiamento
Carlo Robiglio, CEO di Gruppo Ebano, holding specializzata nella formazione aziendale, racconta come l'azienda sia stata in grado cambiare pelle con passione, entusiasmo e capacità di guardare al futuro con originalità.
Si potrebbero impiegare pagine e pagine per raccontare la storia di Ebano, azienda nata agli inizi degli anni ‘90 e che da piccola realtà attiva nel campo dell’editoria specializzata (saggistica, critica letteraria e testi professionali) è cresciuta fino a diventare un Gruppo impegnato anche in altri settori (dalla comunicazione al digital marketing passando per la sharing economy). Un nome di riferimento nell’ambito della formazione aziendale, un’impresa che ha cambiato pelle con passione, entusiasmo e capacità di guardare al futuro con originalità. È stato un vero piacere parlarne proprio con Carlo Robiglio, CEO e Fondatore nonchè Presidente di Piccola Industria, Confindustria.
La vostra è una storia di trasformazione (anche in chiave digitale) che si fonda su competenze strategiche, sinergie, complementarietà: è questa la strada da seguire per rimanere competitivi sul mercato?
Quando parliamo di trasformazione, il primo tema da considerare è la capacità di fare tesoro degli errori che inevitabilmente si commettono. L’autoreferenzialità è la peggior malattia per un imprenditore, mentre la contaminazione è un asset che genera valore se si è capaci di ascoltare, apprendere e decidere. La ricetta per essere un archetipo di impresa innovativa, sempre rivolta alla ricerca di nuove opportunità, non può prescindere da questi requisiti e dalla predisposizione a trovare anche all’esterno figure di talento in grado di apportare valore all’esistente.
Le tecnologie digitali prima e la pandemia Covid-19 nell’ultimo anno, con il boom dello smart working, hanno accelerato il cambiamento in atto nel mondo del lavoro: cosa serve, oggi, a un’organizzazione per essere più produttiva e più efficiente e per aumentare al contempo il coinvolgimento dei propri dipendenti?
Per resistere alle difficoltà e per non perdere il legame con la propria identità e con il territorio servono radici profonde. Ma non solo. Per affrontare le sfide imposte da un mercato del lavoro fortemente impattato dalla pandemia e da una società sempre più liquida è necessario un altro ingrediente che si chiama cultura di impresa. L’organizzazione si mette continuamente in discussione ed è chiamata a sublimare la crescita delle competenze e a valorizzare il capitale umano. Viviamo una fase in cui bisogna mettere al centro la persona come lavoratore e come individuo in quanto tale e con essa tutta la comunità che ruota intorno all’impresa, puntando sulla crescita della sua soddisfazione e della sua serenità. Per fare questo occorre sviluppare una visione che combini investimenti in ricerca e innovazione da una parte e formazione continua dall’altra, che non a caso sono i nostri due pilastri strategici.
Avete un punto di vista privilegiato sul mondo del lavoro, facendo non solo formazione in azienda ma anche direttamente ai cittadini/lavoratori. C’è una ricetta che vi sentite di suggerire per affrontare il “new normal”?
L’interpretazione del cambiamento ha sempre rappresentato lo stimolo per scommettere sulla formazione attraverso mezzi innovativi. Oggi siamo entrati nell’era della competenza e questo paradigma va costruito quotidianamente se si vuole essere protagonisti nel mercato del lavoro, aggiungendo le cosiddette soft skill alle proprie conoscenze tecnico-specialistiche.
Di e-learning e di corsi professionali online si parla da almeno 20 anni ma solo oggi sembra essere una pratica “indispensabile” e vantaggiosa: perché secondo lei? È merito del digitale?
La tecnologia digitale è diventata matura, le piattaforme di e-learning sono consolidate ma c’è voluto un evento disruptive come la pandemia per portarle in primo piano. È certo che non torneremo indietro ma puntare sul digitale non deve essere uno slogan, perché ci aspetta un cambiamento epocale che richiede una governance efficace e puntuale delle tecnologie, che rimangono comunque sempre un mezzo, seppur fondamentale.
Secondo vari studi, la formazione continua e il reskill delle figure professionali senior è una priorità degli Hr manager per i prossimi anni: come si spiega questa tendenza?
La formazione è marketing oriented, perché deve portare il consumatore a capire il vantaggio di un prodotto/servizio. Puntare sulla centralità del cliente nelle strategie di comunicazione, e quindi essere customer centrici, è un traguardo difficilmente raggiungibile per un brand se non si hanno sufficienti competenze interne per descrivere in modo adeguato il proprio prodotto/servizio e associarlo a temi di responsabilità sociale di vario genere.
Bisogna promuovere l’adozione del concetto di impresa diffusa, in cui le persone lavorano bilanciando al meglio attività professionale e vita privata. La nostra offerta di corsi professionali B2B è basata sulla progettualità e sulla gestione di servizi innovativi in outsourcing, va per l’appunto in questa direzione e riflette una tendenza che vede la formazione diventare un elemento centrale anche delle politiche di welfare aziendale.
In Italia, ma non solo, si vive il paradosso del mismatch delle competenze: da un lato elevati tassi di disoccupazione (soprattutto giovanile) e dall’altro aziende che lamentano di non trovare competenze adeguate (neppure tra i giovani). Come se ne esce?
La formazione è un elemento di crescita. È peraltro assai diffusa la percezione che la formazione professionale sia meno rilevante rispetto a quella accademica. È un problema di natura culturale che va superato. Altrimenti si verificano situazioni come il gap fra Germania e Italia in termini di disponibilità di figure con determinate competenze. È noto che alle nostre imprese verranno probabilmente a mancare nei prossimi anni qualcosa come 180mila professionisti digitali e dell’innovazione tecnologica. Su questo si sta facendo troppo poco, anche perché è un tema di cui non si parla abbastanza, quando invece va considerato prioritario.
Un’ultima domanda: cosa significa per Gruppo Ebano essere un trailblazer?
Essere un apripista, un pioniere di un’evoluzione comporta l’assunzione di una forte responsabilità. Investire in piattaforme tecnologiche innovative per abilitare un nuovo modo di lavorare e gestire alcuni processi strategici significa voler cambiare completamente pelle all’intera organizzazione, ripensando i modelli di business, assumendosi i rischi di questo cambiamento e fissando nuovi obiettivi di crescita.
Vuoi saperne di più sulle strategie digitali dei nostri trailblazer? Leggi le loro storie nella sezione “CEOs Conversations”!