Alcuni dati preliminari
Secondo i requisiti definiti dalla Commissione europea in termini di dipendenti, fatturato e attivo di bilancio, le PMI in Italia sono 148.531. Di queste, 123.495 sono piccole imprese e 25.036 sono medie aziende. Le PMI rappresentano il 24% delle imprese che hanno depositato un bilancio valido e occupano oltre 4 milioni di addetti, di cui 2,2 milioni lavorano in aziende piccole e 1,9 milioni in aziende di medie dimensioni.
Queste 148 mila PMI hanno prodotto un giro d’affari di 886 miliardi di euro e un valore aggiunto di 212 miliardi (pari al 12,6% del Pil). Rispetto al complesso delle società non finanziarie, pesano per il 38% in termini di fatturato e per il 40% in termini di valore aggiunto (dati aggiornati Rapporto Cerved PMI 2018).
Chi sono i nuovi leader delle PMI?
L’ISTAT rivela che gli imprenditori, che nel 2018 hanno avviato una nuova attività, sono stati complessivamente 316 mila, la maggior parte dei quali presenta delle caratteristiche che li differenziano dai concorrenti già presenti sul mercato. L’età, innanzitutto: i nuovi imprenditori sono mediamente più giovani (il 38,4% dei nuovi lavoratori in proprio ha meno di 35 anni) e più istruiti. Un importante contributo è offerto dagli stranieri – che sono pari al 10% dei lavoratori in proprio e all’11% degli imprenditori con dipendenti – e dalle donne: nel 2014 tra i nuovi imprenditori, il 28,4% era di sesso femminile (fino a raggiungere il 31,1% tra i lavoratori in proprio). A differenza dei loro colleghi uomini, le neo-imprenditrici hanno aperto la propria attività in settori ad alto valore tecnologico e di conoscenza: il 48,4% contro il 39% registrato tra gli uomini.
Le differenze territoriali non sono significative salvo per due aspetti: il Sud e le Isole presentano la percentuale più elevata di giovani, soprattutto tra i lavoratori in proprio (41% di under 35 contro 38,4% in media nazionale), e la più bassa di imprenditori stranieri (5% contro 10%). Quali sono le motivazioni che spingono ad avviare un’impresa innovativa? Al primo posto si colloca la realizzazione di prodotti o servizi innovativi (77,6%), seguono la volontà di creare un’impresa di successo ad elevata redditività (62,9%), il desiderio di un lavoro autonomo (28,8%) e l’intento di mettere in pratica le ricerche universitarie (24,7%). Solo il 9,1% lo ha fatto per trovare occupazione, mentre il 7,7% ha ammesso di aver deciso di fondare una start up innovativa per beneficiare delle agevolazioni previste. (dati aggiornati Rapporto MISE – ISTAT sulle startup italiane)
Ma qual è lo stato di salute delle PMI italiane?
I segnali di ripresa degli scorsi anni evidenziano una forte accelerazione nel 2017. Le PMI hanno recuperato livelli di redditività elevati e hanno continuato a rafforzare gli indici relativi alla sostenibilità dei loro debiti finanziari, oggi ben più equilibrati rispetto ai livelli di un decennio fa. Grazie agli andamenti favorevoli delle nascite d’impresa e al calo delle morti, ovvero le piccole e medie imprese che escono dal mercato o che non hanno presentato un bilancio, nel 2017 si è finalmente rimarginata l’emorragia di aziende, che nella fase più acuta della crisi (2014-17) aveva decimato il nostro sistema di PMI. Emerge però una tendenza al rallentamento nel 2018, a indicare che la ripresa delle PMI ha raggiunto un suo picco positivo nel 2017 per poi invertire la tendenza nei mesi successivi. Questo rallentamento è preoccupante soprattutto alla luce dello scenario macroeconomico, caratterizzato da una frenata della congiuntura internazionale e dalla crescente sfiducia dei mercati nei confronti dei conti pubblici italiani.
E in Europa?
La struttura produttiva italiana mostra il ruolo primario delle PMI: il nostro Paese è leader tra i maggiori Paesi dell’Unione Europea per rilevanza dell’occupazione nelle PMI con il 78,7% degli addetti delle imprese – di cui 45,6% relativo a micro imprese fino a 10 addetti, 20,4% relativo a piccole imprese tra 11 e 49 addetti e il restante 12,7% relativo a medie imprese fino a 250 addetti – valore nettamente superiore alla media europea pari al 69,4%. Per il peso degli addetti delle PMI l’Italia sopravanza Regno Unito (75,3%), Spagna (72,8%), Germania (62,9%) e Francia (61,4%). Le micro e piccole imprese con meno di 50 addetti sono l’asse portante del sistema di PMI italiano e rappresentano, infatti, l’83,9% degli addetti delle imprese fino a 250 dipendenti.
Segnali di crescita e trend emergenti
Secondo il Rapporto Leader della crescita del Sole 24 e Statista – basato su una lista di 350 aziende, in maggioranza piccole e medie imprese, che hanno ottenuto una rilevante crescita di fatturato nel triennio 2014-17 – il primo trend cavalcato per raggiungere il successo è la diffusione di servizi digitali evoluti.
Altra leva vincente, è la diffusione dell’e-commerce in Italia, partito a rilento ma che ora sta macinando tassi di crescita consistenti (con nuovi trend per il 2020 da sfruttare, anche per le PMI). Si sottolinea poi il ruolo fondamentale dell’internazionalizzazione (non solo di beni ma anche di servizi); la qualità “assoluta”: si vende non solo il prodotto ma lo stile di vita italiano; la sostenibilità ambientale e il ritorno alla natura (nel food, con il boom del biologico, e nell’energia, con rinnovabili ed efficienza energetica, ad esempio). Fondamentali infine sono la spinta della rivoluzione industriale 4.0 in atto e l’ascesa delle imprese con un forte impegno nel sociale, sempre più vincenti (in particolare su welfare, formazione e cooperazione); senza dimenticare il terremoto in atto nel retail e nella distribuzione: solo i progetti più ambiziosi sono riusciti a crescere, mentre i negozi fisici chiudevano a migliaia e lo scenario della distribuzione veniva sconvolto dall’e-commerce e dal successo dei grandi centri commerciali. Le nuove formule vincenti del retail puntano su lifestyle, sulla riconoscibilità di grandi marchi, sull’aggregazione di community e sul coraggio della formula proposta. Da questi dati emerge una fotografia dell’Italia in cui operano «ottime piccole aziende che possono competere a livello europeo ma sottocapitalizzate, finanziate con capitali personali o canali tradizionali, che partono dalla provincia con ambizioni globali». Così ha commentato Thomas Clark, partner associato e direttore dello sviluppo corporate e affari internazionali di Statista.