People First! Il nuovo appello dei consumatori ai brand di moda
Il nuovo progetto di studio, che anche quest’anno ha visto il sostegno di Salesforce, si è infatti focalizzato sul comprendere i cambiamenti negli usi e costumi di chi compra capi di abbigliamento e beni di consumo connessi al settore moda, dal fast fashion fino al lusso.
Negli ultimi mesi abbiamo ricominciato ad assaporare una quotidianità finalmente più simile a quella di un tempo, ma nessuno può negare che la pandemia abbia accelerato alcuni importanti cambiamenti e avviato nuove dinamiche (anche positive) delle quali è bene tener conto. A cercare di capire meglio che cosa significhi “New Normal” per i brand e quali siano gli effetti che ha generato nel concreto ci hanno pensato Giulia de Bernard de Fauconval, Shreya Ghosh, Ludovica Rizzo e Blanka Nakova, studentesse che hanno da poco concluso il MAFED, il Master in Fashion, Experience & Design Management di SDA Bocconi School of Management di Milano.
Il nuovo progetto di studio, che anche quest’anno ha visto il sostegno di Salesforce, si è infatti focalizzato sul comprendere i cambiamenti negli usi e costumi di chi compra capi di abbigliamento e beni di consumo connessi al settore moda, dal fast fashion fino al lusso.
Le studentesse hanno sottoposto un questionario a centinaia di consumatori in tutta Europa e in parallelo hanno intervistato una quindicina di manager di aziende per comprendere a fondo azioni e strategie per il futuro. Le età dei soggetti interrogati, 72% donne e 28% uomini, variano dai 18 a 56 anni. La zona geografica di riferimento è l’Europa, con l’Italia in testa.
L’indagine ha portato alla luce in particolare sei tendenze, da tenere in debito conto.
La sostenibilità passa innanzitutto dal benessere delle persone
Partiamo dalla sostenibilità, che non solo continua a giocare un ruolo prioritario per le scelte di acquisto, ma diventa anche un elemento che giustifica il premium price. Lo conferma il fatto che oltre la metà dei consumatori sia disposto a spendere dal 5 al 20% in più per capi di abbigliamento con un impatto ambientale e sociale significativo. Allo stesso tempo, la sostenibilità in termini di impegno per la salvaguardia del pianeta viene sempre più considerata una condizione necessaria, ma di per sé non sufficiente.
I consumatori di oggi chiedono di più: il benessere dei dipendenti (66%), la trasparenza della filiera (35%) e una riduzione del consumo di energia e acqua nella produzione (33%). Otto consumatori su dieci (82%) si aspettano infatti che i brand di moda mettano innanzitutto al primo posto la salute, la sicurezza e il benessere dei dipendenti. Per questo, rimane alta l’attenzione per la parità di genere (45%) e l’impegno da parte dei brand a mantenere relazioni di fiducia con i fornitori (50%).
L’omnicanalità porta valore alle realtà locali
Se un’azienda non ha una strategia digitale, di fatto non ha una strategia. Il settore moda nel suo complesso, dalla piccola bottega di quartiere al grande multimarca, deve quindi saper ingaggiare attraverso il digitale anche in termini di prossimità. Non solo perché i negozi sono stati colpiti dalle chiusure, ma anche perché i consumatori hanno imparato a non fare più a meno della multicanalità e dell’online per i loro acquisti.
Infatti, benché i consumatori si sentano responsabili nel sostenere l’economia locale, si orientano ai piccoli rivenditori locali solo se il prezzo dei prodotti è contenuto e la modalità di acquisto risulta semplice, grazie ad esempio a un sito web.
Non è finita qui. Anche il sentiment nei confronti del “Made in” sta cambiando. Il paese di origine di un prodotto resta un fattore di scelta significativo per chi ha più di 55 anni (53%). Tra i consumatori al di sotto dei quarant’anni il fattore “Made in” fine a se stesso conta poco (appena del 30% per i Millennial) mentre a contare realmente sono la trasparenza e la tracciabilità della filiera. In sostanza, per i più giovani, un prodotto “Made in China” può essere ritenuto di maggior valore se dotato di infomazioni sulla sua tracciabilità rispetto a un prodotto “Made in Italy” di cui non si sa nulla.
Comprare meno, ma meglio grazie al pre-loved
Nel 2020 la spesa per i capi di abbigliamento è diminuita del 68% rispetto al 2019. Ciò si traduce nella grande importanza attribuita oggi dalle nuove generazioni al value for money, una priorità nelle scelte di acquisto per il 73% del campione intervistato. I consumatori preferiscono investire in capi con una maggiore qualità (54%) e destinati a durare nel tempo (45%).
Si sta così affermando la tendenza ad acquistare prodotti pre-loved, ovvero di seconda mano. E sebbene il fenomeno interessi soprattutto le nuove generazioni, non sarà una moda passeggera, ma una tendenza destinata a restare. I dati dell’indagine evidenziano infatti che il 69% dei consumatori è disposto a pagare un premium price per comprare vestiti di seconda mano verificati dai brand, contribuendo così all’economia circolare.
I sales assistant diventano i nuovi influencer
Il vero cambio di paradigma arriva con il nuovo ruolo dei sales assistant, che con la pandemia sono diventati dei veri e propri virtual personal shopper capaci di guidare il cliente nel processo di acquisto online e permettendo così di generare una connessione e un legame molto più forte con il brand.
Tramite le sessioni online dedicate, i consumatori hanno avuto modo di ricevere un’attenzione particolare. La figura del sales assistant è diventata una figura di relazione a 360 gradi, una persona che ha conoscenza del brand e del cliente stesso. I commessi di oggi sono persone che hanno imparato a conoscerci profondamente, molti di loro sono anche entrati nelle nostre case durante il lockdown grazie alle sessioni di shopping dedicate, fornendoci suggerimenti mirati in base a quello che era il nostro guardaroba e il nostro arredamento
Si sta vivendo un passaggio culturale dal B2C (business to consumer) all’H2H (human to human): nel momento in cui la tecnologia gestisce le interazioni, è importante che la relazione avvenga tra persone.
La sicurezza è il nuovo standard
L’attenzione alle misure di sicurezza e igiene è cresciuta costantemente dall’inizio della pandemia e si è trasformata in un nuovo standard necessario. I consumatori sono rassicurati dalla presenza di dispenser di igienizzante e dagli accessi limitati negli ambienti ambienti piccoli. Per i negozi di abbigliamento resta però un nodo cruciale: il camerino per provare i vestiti.
Una tecnologia nella quale investire è sicuramente il virtual try on, riconosciuto dal 48% dei consumatori intervistati come una soluzione tecnologica capace di incrociare tutte le loro richieste in termini di sicurezza: facilita l’acquisto da casa e in negozio fornendo un’esperienza digitale più sicura e con meno resi che sono sempre un costo.
Più servizi, meno intrattenimento
I meccanismi di gamification quando si acquista online in realtà attraggono poco il consumatore, che ricerca innanzitutto un’esperienza d’acquisto semplice e veloce. Vale la pena chiedersi se le app di gioco siano uno strumento efficiente per aumentare la conversione o restino semplicemente un modo divertente per coinvolgere i clienti e aumentare la notorietà del brand.
La tecnologia deve essere a beneficio del servizio, tutto il resto, dagli strumenti di gamification alla realtà aumentata, è secondario. Per il consumatore prima di tutto viene il servizio, come la possibilità di fare un reso in modo semplice (29%), consegna in tempi brevi (25%) o la possibilità di provare a casa il capo prima di effettuare il pagamento (14%). Servizi più raffinato come l’assistenza virtuale (7%) o la selezione personalizzata del prodotto (5%) sono ancora ritenuti accessori e non indispensabili in prima istanza.
Per scoprire di più su come i brand stanno approcciando i clienti nel New Normal, scarica la ricerca realizzata da SDA Bocconi e Salesforce