Come si rende una piattaforma tecnologica professionale accessibile a utenti ciechi? Gruppo CAP e Deloitte Digital ci raccontano “The Guide Project”
"The Guide Project" racconta la storia di Barbara Contini, dipendente cieca di Gruppo CAP, e di come grazie al supporto di Deloitte Digital ora sia in grado di utilizzare Salesforce al pari dei suoi colleghi.
Pensate a uno qualsiasi dei task che ogni giorno svolgete sul lavoro: inserire dati su un sistema, scrivere un messaggio, rispondere a una telefonata. Tutte attività ordinarie che scandiscono le giornate lavorative. Ora immaginate di fare ciò senza poter contare su uno strumento imprescindibile per la buona riuscita di questi compiti, uno dei cinque sensi: la vista. Il tutto risulterebbe molto più complicato se non addirittura impossibile per molti di noi, soprattutto senza l’ausilio di piattaforme tecnologiche in grado di supportarci.
Di questo parla la storia di Barbara Contini, dipendente cieca di Gruppo CAP, gestore del servizio idrico della Città metropolitana di Milano, e campionessa paralimpica di tiro con l’arco, la quale grazie al supporto di Deloitte Digital è ora in grado di lavorare sulla piattaforma Salesforce al pari di tutti i suoi colleghi e colleghe. Una vera e propria rivoluzione in termini di inclusività e accessibilità, voluta e promossa in primis dal CIO di Gruppo CAP Michele Tessera e resa possibile dalla tecnologia, in particolare dalla piattaforma Salesforce Service Cloud.
Abbiamo deciso di farci raccontare questa storia dalla diretta interessata Barbara Contini, referente coordinatore dei centralini delle reception aziendali e da Luca Venanzetti, Senior Manager di Deloitte Digital, che ha condiviso con noi le informazioni tecniche su come riconfigurare la piattaforma per renderla completamente accessibile. In questo modo, anche altre realtà potranno replicare lo stesso progetto e permettere a sempre più persone cieche di lavorare sulla piattaforma Salesforce, abbattendo così le barriere tecnologiche che ancora ne limitano l’accesso al mondo del lavoro. Barbara e Luca due veri Trailblazer!
Ciao Barbara, ben trovata. Partiamo dall’inizio: prima del progetto sviluppato con Deloitte Digital e denominato “The Guide Project”, c’erano delle differenze tra te e i tuoi colleghi nello svolgere il tuo lavoro?
Barbara: Sì, ce n’erano poiché la piattaforma Salesforce, che viene solitamente utilizzata nello svolgimento di mansioni simili a quelle che oggi posso svolgere (legate alla modifica di dati anagrafici e pronto intervento tecnico), prima della customizzazione predisposta da Deloitte era inaccessibile per lo screen reader, quindi di fatto io non potevo utilizzarla.
Con Deloitte Digital avete ripensato radicalmente il modo di configurare la piattaforma per renderla più accessibile. Luca, in che modo è stato fatto questo?
Luca: Fondamentalmente abbiamo progettato un layout ottimizzato per persone non vedenti per migliorare la navigazione tra i tab e tra le sezioni, concentrandoci su come sfruttare al meglio le opzioni di configurazione disponibili in Salesforce per garantire a Barbara una buona operatività. Abbiamo inoltre implementato un componente custom che consente a Barbara di automatizzare alcuni task complessi e di muoversi più rapidamente su alcuni processi piuttosto articolati. Questo le consente quindi di arrivare alla chiusura di un case più rapidamente rispetto a un utente che non ha una disabilità visiva. Infine abbiamo abilitato delle shortcut di Salesforce che consentono di lavorare sulla console più rapidamente.
Secondo la tua esperienza in Deloitte c’erano dei business case su cui basarsi o era la prima volta che veniva realizzato qualcosa di simile?
Luca: No, per Deloitte è stato il primo progetto di questo tipo. Abbiamo progettato l’attività da zero seguendo una serie di moduli specifici su Trailhead. Abbiamo seguito un vero e proprio path che ci ha dato suggerimenti e opzioni per un design votato all’accessibilità.
Barbara, in che modo diresti che è cambiata la tua vita lavorativa grazie a questa ri-configurazione del gestionale?
Barbara: Sono arrivata a poter gestire, in un giorno d’intensa attività, fino a un massimo di 180/190 casi. La mia giornata scorre molto più velocemente ed è scandita da azioni concrete, perché il lavoro che ho fatto è diventato un lavoro tangibile. Pensate che da aprile dello scorso anno (quando ho cominciato a utilizzare la piattaforma in autonomia) a fine novembre ho risolto oltre 3.500 case. Personalmente penso che sia un ottimo risultato.
Il racconto video di “The Guide Project”
Non potremmo che essere più d’accordo, davvero impressionante. Complimenti! E com’è stato lavorare fianco a fianco con Luca e il suo team per dare forma a questo cambiamento?
Barbara: Al primo incontro mi sentivo un “pesce fuor d’acqua” perché non capivo nulla. I collaboratori di Luca un pomeriggio sono venuti fisicamente in ufficio e abbiamo lavorato insieme per tre ore per capire come la sintesi vocale interfacciasse Salesforce (o meglio, come non lo interfacciasse) e come abilitare questa funzione. Si sono quindi inventati una custom action legata molto alla pulizia e l’alleggerimento della pagina per darmi la possibilità di poter usare tutti gli strumenti senza problemi.
È stato impegnativo imparare a lavorare sulla piattaforma?
Barbara: Beh, come sempre quando si inizia a lavorare su un software per la prima volta ci sono mille dubbi e mille incertezze, ci vuole training specifico. Io avevo il terrore di sbagliare e di fare degli errori enormi, anche se in realtà le prime prove le abbiamo fatte su task molto semplici. Grazie al supporto di Luca e del suo team sono riuscita piano piano a comprendere il tutto. È stato più difficile capire il cosa e il come nei primi mesi di sviluppo, ma fortunatamente poi sono andata avanti spedita.
Veniamo ora alle considerazioni post implementazione del progetto: come pensi che “The Guide Project” possa essere di ispirazione per altre aziende che vogliono seguire il vostro esempio?
Barbara: Partiamo dal presupposto che in Italia c’è un obbligo di assunzione di disabili pari al 7% del totale del personale in carico di un’azienda, se non si assume una persona disabile bisogna pagare una penale (che per me è sempre troppo bassa). Nell’immaginario comune si pensa che una persona non vedente possa fare solo il musicista, il fisioterapista o il centralinista. Naturalmente non è così. Grazie alla ricerca, la tecnologia oggi è accessibile anche ai non vedenti. Il risultato è una maggiore inclusione, la possibilità di fare certi lavori e di acquisire quella soddisfazione che ti fa essere orgoglioso. L’utilizzo di piattaforme tecnologiche accessibili da parte delle aziende rappresenta un incentivo a lavorare di più: sono dell’idea che la persona giusta nel posto giusto e con le giuste tecnologie renda sicuramente di più.
Che consiglio o messaggio daresti ad altre persone cieche che si trovano ad affrontare barriere tecnologiche sul luogo di lavoro?
Barbara: Che c’è sempre una soluzione. La soluzione con Deloitte è stata cercata da CAP perché l’azienda voleva mettermi nelle condizioni di poter lavorare al meglio. Quello che io sostengo sempre è il design for all: bisogna sviluppare qualsiasi cosa, che sia un palazzo o che sia un software, pensando che dovrà poi essere utilizzato da persone con esigenze e abilità diverse.
Cosa significa per voi un ambiente di lavoro inclusivo?
Luca: Per me un ambiente di lavoro inclusivo è dove le persone possono contribuire, indipendentemente dalle caratteristiche personali. In un ambiente di lavoro inclusivo, da una parte si promuove la diversità, dall’altra si cerca di eliminare le barriere anche attraverso la tecnologia. Inoltre, bisogna tenere a mente che progetti come quello realizzato da Gruppo CAP permettono di sviluppare competenze sul fronte “accessibilità” che possono essere poi riutilizzate per la messa a terra di qualsiasi altro progetto d’inclusione, che rappresentano dunque un vero e proprio learning per l’azienda.
Barbara: Inclusione per me vuol dire pari opportunità, quindi avere tutti le stesse possibilità per fare qualsiasi cosa. Togliere i preconcetti e i bias, che sono sempre dietro l’angolo. Tutto questo all’interno di un ambiente di lavoro il quale, bisogna ricordare, è composto non da pareti ma da persone che portano le proprie skills and drills. Questo è un arricchimento sia per l’azienda che per la persona stessa: il rapporto di lavoro è infatti uno scambio, se questo scambio non esiste, nessuna delle due parti (dipendente o azienda) cresce. Inclusione è quindi crescita di entrambi perché con il lavoro in azienda il disabile si sente accettato nella società (che in questo caso è l’azienda) e dona alla società stessa tutto quello che è il suo know-how, che può essere piccolo o grande.
Ultima domanda: a prescindere dalla volontà che dalle vostre parole dev’essere un elemento imprescindibile, secondo voi qual è il punto di partenza per le aziende che desiderano sviluppare progetti simili?
Luca: Da un punto di vista progettuale direi che per avviare un progetto di accessibilità sicuramente bisogna valutare intanto le esigenze specifiche degli utenti che hanno delle diversità. Bisogna conoscere anche le normative e gli standard da rispettare in termini anche di integrazione. Infine bisogna coinvolgere attivamente gli utenti con diverse abilità nel processo di progettazione, raccogliere tanti feedback e suggerimenti in maniera tale che si riesca a ottimizzare la piattaforma al meglio.
Barbara: La volontà dell’azienda è la prima forza che fa muovere il tutto, come se fosse un effetto domino. Volontà del soggetto in questione con una disabilità qualsiasi inserito nel progetto stesso fin da subito, dall’inizio. Poi è necessaria la ricerca di una consulenza specifica e competente: servono infatti delle persone che sappiano declinare/coniugare il linguaggio informatico a quelle che sono le effettive esigenze del disabile.
Grazie a entrambi per averci raccontato questa storia: speriamo che l’entusiasmo e la motivazione di Barbara e la dedizione di Luca possano essere di ispirazione per tante altre aziende desiderose di intraprendere un percorso di maggiore inclusione per i propri dipendenti.
Il documentario
“The Guide Project” è diventato anche il protagonista di un documentario ideato dall’agenzia creativa ACNE e presentato in occasione della Giornata Mondiale delle Disabilità lo scorso 3 dicembre in forma accessibile a persone cieche e sorde.